Il mito dell'Hînayâna

di Kåre A. Lie

Nei secoli intorno alla nascita di Cristo c'è stata una svolta radicale nello sviluppo del buddismo. Nacque una nuova scuola, chiamata dai suoi aderenti Mahâyâna. In quali tratti questa nuova scuola si differenziasse dalle precedenti è cosa che si può trovare in qualunque storia del buddismo. Qui ci concentreremo su uno dei risultati di questo scisma: il termine hînayâna.

Gli aderenti alle vecchie scuole criticarono i mahayanisti, soprattutto per aver creato nuovi sutra falsificando le parole del Buddha. I mahayanisti, d'altro canto, reagirono alla critica accusando gli avversari di non comprendere affatto gli insegnamenti e di essere di mente ristretta ed egoisti. Il dibattito si infocò e le accuse fioccarono da entrambe le parti, finché qualche brillante persona del partito mahayanico creò l'antinomia Mahâyâna-hînayâna, che si impose. I mahayanisti definirono gli avversari hînayâna e la parola svolse ottimamente la funzione dell'insulto, con una semplicità e un parallellismo con Mahâyâna che qualunque sciocco poteva afferrare.

Hînayâna - o, più correttamente, hiinayaana - è un termine molto spregiativo. Non vuol dire semplicemente «piccolo veicolo» come spesso si sente affermare. Il secondo elemento di hiina-yaana - ossia yaana - significa veicolo. Ma hiina assai raramente ha il semplice significato di «minore» o «piccolo». Se questo fosse il caso, i testi pâli (o sanscriti) l'avrebbero impiegato in altri contesti come il contrario di mahaa, grande. Ma ciò non è avvenuto. Il contrario di mahaa è cuu.la, che è anche il termine corrente per «piccolo».

Il termine hînayâna è l'eco di un dibattito morto da tempo; o, piuttosto, di un dibattito in cui un partito è morto, mentre l'altro continua a gridare al vento.

Chi erano gli avversari etichettati come Hînayâna? I theravadin? Probabilmente no. All'epoca in cui nacque il Mahâyâna, il Theravada era quasi completamente «emigrato» nello Sri Lanka e difficilmente può essere enumerato tra le scuole predominanti sul continente indiano, dove ebbe luogo la disputa Mahâyâna-hînayâna. I theravadin sono solo sporadicamente menzionati nelle opere del Mahâyâna. Nel Karmasiddhiprakarana, Vasubandhu li chiama rispettosamente «i venerabili tamraparniya» (Tamraparni era il nome dello Sri Lanka) e non li chiama hînayâna. La più influente tra le vecchie scuole era, a quel tempo, il Sarvastivada; perciò questi sono il più probabile - ma certamente non l'unico - bersaglio dell'invettiva «hînayâna».

Ora, i sarvastivadin - e le altre antiche scuole dell'India di quel tempo, eccetto il Theravada - sono morti da lungo tempo; ma la disputa e gli argomenti si sono fatti strada nei sutra mahâyâna, come si evince, per esempio, dalla propaganda anti-hînayâna contenuta nel Sutra del Loto e dal fatto che la loro eco riverbera negli insegnamenti Mahâyâna e Vajrayâna.

Oggi c'è confusione, perché i Mahayanisti-Vajrayanisti utilizzano il termine hînayâna in tre modi diversi:

1) In senso storico: chiamano hînayâna le scuole pre-mahayaniche.

2) Il moderno Theravada viene confuso con l'hînayâna.

3) Il termine hînayâna è utilizzato per una categoria interna agli insegnamenti Mahâyâna-Vajrayâna.

Diamo uno sguardo più approfondito a questi tre diversi utilizzi.

1) Alcuni affermano che la parola hînayâna come termine per le prime scuole è un uso che appartiene solo al lontano passato, ma non è vero. La si trova in molte opere moderne di consultazione e anche in opere specialistiche; ad esempio, si trova in Buddhist Philosophy In Theory and Practice di H. V. Guenther, che cita scritture tibetane dal XVIII al XX secolo.

2) Come esempio della confusione tra hînayâna e Theravada, vorrei citare la bibliografia dell'opera di Jane Hope (allieva di Chögyam Trungpa Rinpoche.), Buddha For Beginners, stampato nel 1995 (ho solo la versione norvegese disponibile, ragion per cui mi auguro che la mia ritraduzione in italiano non sia troppo imprecisa): «Buddhismo hînayâna. Una buona introduzione al tradizionale buddismo hînayâna è L'insegnamento del Buddha, di Walpola Rahula ... Da un punto di vista attuale e scritto da due occidentali formatisi nella tradizione Theravada, è ... Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione, di Joseph Goldstein e Jack Kornfield ...».

3) Passiamo ora a una confusione persistente radicata nel buddismo tibetano. Alcuni affermano che hînayâna e Mahâyâna, da tempi antichissimi sono termini utilizzati per descrivere due diversi atteggiamenti spirituali, e la citazione dal VII capitolo («Amorevolezza e Compassione»), del classico tibetano Il Gioiello Ornamento della Liberazione scritto nel X secolo, in cui l'autore, Jé Gampopa si riferisce a hînayâna come a una «capacità inferiore» («theg pa dman pa»). Il paragrafo recita come segue: «Aggrapparsi al benessere della mera pace (1) indica inclinazione alla capacità inferiore(2) in cui il desiderio di trascendere la sofferenza è limitato solo a se stessi. Ciò esclude l'amore e protezione degli altri e, di conseguenza, vi è poco sviluppo di altruismo. [...] Quando l'amorevolezza e la compassione diventano parte della vita di qualcuno, c'è così tanta sollecitudine per gli altri esseri viventi che non si riesce a sopportare l'idea di liberare solo se stessi. Il maestro Manjushriikiirti [...] disse: "Un seguace del Mahâyâna non dovrebbe mancare di amorevolezza e compassione, nemmeno per un momento", e "non la rabbia e l'odio, bensì l'amorevolezza e la compassione garantiscono il benessere degli altri"».

Le note a piè di pagina a questo passaggio recano il contenuto che segue: (1) Il tibetano zhi.ba significa «pace». In questa sezione del libro viene tradotto come «mera pace» dal momento che viene utilizzato da Gampopa per denotare la pace relativamente priva di compassione che risulta dallo sviluppo della sola meditazione di concentrazione. (2) Hînayâna: «capacità minore», spesso tradotto come «veicolo minore». Il termine implica la capacità di trasportare un peso. In questo caso il peso è quello costituito da se stessi in quanto l'impegno assunto è solo quello di portare alla liberazione se stessi, e non tutti (come è il caso del Mahâyâna, la «capacità maggiore»).

Il problema e la confusione sorgono qui, naturalmente, dal fatto che tale analisi non si riferisce direttamente alla parola pâli e sanscrita hînayâna, ma alla sua traduzionein tibetano theg pa dman pa. Si tratta di una questione fondamentale, come verrà mostrato di seguito.

La parola hînayâna non è tibetana, né cinese, inglese o bantu. Si tratta di pâli e sanscrito. Pertanto, l'unico approccio ragionevole per trovarne il significato è studiare come la parola hînayâna è usata nei tesi pâli e sanscriti.

Il secondo elemento, -yâna, significa veicolo. Su questo non vi è alcun dissenso.

Come, dunque, viene impiegato hîna nei testi canonici pâli?

Ogni buddista conosce il primo discorso registrato del Buddha, il Dhammacakkappavattanasutta, esposto ai cinque asceti che divennero i primi cinque bhikkhu. Dice il Buddha: «Questi due estremi, o monaci, non devono essere praticati da colui che è andato via dal mondo. Quali due? Quello connesso con le passioni e la lussuria, basso (hîna), grezzo, volgare, ignobile e dannoso ... »

Sapendo che lo stile dei sutta fa frequente uso di sfilze di sinonimi in questo modo, cosicché si rafforzino e si definiscano l'un l'altro, in questo caso si possono considerare «grezzo, volgare, ignobile e dannoso» come definizioni ausiliarie di «hîna».

Qui il Buddha indica chiaramente come «hîna» la via che non dev'essere praticata.

In altri pâli testi e commentari, hîna spesso ricorre nella combinazione hiina-majjhima-pa.niita, cioè: male - medio - bene. Nel contesto di hiina - majjhima - pa.niita (o talvolta solo hiina - pa.niita) la parola hiina è sempre utilizzata come un termine per qualità come l'odio, l'avidità e l'ignoranza. E, ovviamente, significa «basse, indesiderabili, spregevoli» - e non «piccole» o «minori».

Il commentario Mahaniddesa-atthakatha, uno dei testi in cui si trova questa triade, definisce così la parola: hiinattike hiinaati laamakaa (nella triade hiina, hiina è laamakaa). Ora laamaka è definito dal Dizionario della pâli Text Society in questo modo: «insignificante, povero, inferiore, cattivo, peccaminoso. Il sinonimo più comune è paapa». E paapa significa «malvagio, cattivo». Quindi, sembra che le definizioni vadano di male in peggio. Il commentario quindi dà esempi e spiega che i desideri che causano la rinascita in niraya (inferno-purgatorio) sono hiina.

Passiamo ora ai testi sanscriti. Nel Lalitavistara Sutra troviamo una versione del Dhammacakkappavattanasutta, dove la parola hiina è utilizzata esattamente come nella precedente citazione dalla versione pâli del sutta.

Nel Mahâyânasutralankara di Asanga, che è un testo molto rappresentativo del Mahâyâna, troviamo qualcosa di interessante per la nostra ricerca. Asanga dice: «Ci sono tre gruppi di persone: hiina-madhyama-vishishta ... (cattive - medie - eccellenti)». Questa espressione è parallella al pâli: hiina-majjhima-pa.niita, e dimostra che i mahayanisti che coniarono l'espressione hiinayaana, consideravano hiina un termine sprezzante, con lo stesso significato che ha nei testi pâli.

Un libro molto interessante è un'edizione del Catushparishatsutra dove il testo è presentato in quattro colonne sinottiche: sanscrito, pâli (Mahavagga), tibetano e una traduzione in tedesco da una versione cinese. Qui, ancora una volta, si trova il Dhammacakkappavattanasutta. Abbiamo già preso in esame il sanscrito e il pâli. La versione tedesca dal cinese dice: Erstens: Gefallen zu finden an und anzunehmen die niedrigen und üblen Sitten der gewöhnliche Personen ... «È poco chiaro se qui a hiina corrisponda niedrigen (spregevole) o üblen (malvagio, cattivo). Ma almeno è chiaro che la forte connotazione negativa di hiina è stata riportata nella traduzione cinese. Finora nulla di diverso dai significati pâli e sanscrito.

Nella colonna tibetana troviamo che la parola tibetana dman-pa prende il posto corrispondente al sanscrito hiina, come nel testo di Jé Gampopa sopra citato. E qui abbiamo la causa delle confusioni e dei malintesi successivi del termine hiinayaana. Vediamo che cosa dicono i dizionari tibetano-inglese a proposito del termine dman-pa: il Dizionario di Sarat Chandra Das dice: «dman-pa: basso, in riferimento alla quantità o qualità, poco». Il Dizionario di Jäschke è ancora più illuminante: «dman-pa: 1. Basso, in riferimento alla quantità, poco. 2. In riferimento alla qualità: indifferente, inferiore (Skt: hiina)».

Così sembra, pertanto, che la parola sanscrita hiina, che al di là di ogni ragionevole dubbio significa «di bassa qualità», è stata tradotta in tibetano con la parola dman-pa, che ha il doppio senso di «bassa qualità» e «bassa quantità». E la citazione soprariportata di Jé Gampopa sembra indicare che ormai molti tibetani leggano solo il secondo dei due significati, ossia come «capacità minore», «capacità inferiore», cosicché il significato del termine è stato distorto da «bassa qualità», a «bassa quantità».

Così vediamo che la confusione è nata dal fatto che dman-pa ha in tibetano due significati. Hînayâna, che originariamente significa «veicolo di spregevole qualità», ha così acquisito il nuovo significato di «veicolo di capacità inferiore». Ma questo è il risultato di un metodo sbagliato. È naturalmente sbagliato riproiettare il nuovo significato tibetano sulla parola sanscrita e pâli, e dire che «questo è il significato di Hînayâna, perché questo è il modo in cui lo spiegano i maestri tibetani». Ciò che spiegano i maestri tibetani è la parola tibetana dman-pa, non la parola sanscrita hiina.

Pertanto è chiaro che non si può affermare che hînayâna ha il «mite» significato che gli ha dato la tradizione tibetana, per il tramite della parola tibetana dman-pa. Hînayâna non è tibetano, è pâli e sanscrito, e il suo duro, sprezzante significato rimane inatatto da qualsiasi tentativo di attenuazione.

Che cos'è, poi, l'hînayâna? Il Buddhismo Theravada? No. E ciò, oltre che un insulto è, probabilmente, anche storicamente sbagliato. Si tratta di un atteggiamento spirituale all'interno del sistema Mahâyâna e Vajrayâna? No, questo è il tibetano theg pa dman pa, l'inclinazione a una più bassa capacità, e non il sanscrito hînayâna, il «veicolo inferiore».

In conclusione, non esiste alcun hînayâna. Hînayâna non è altro che un mito, anche se confuso e distruttivo e i saggi buddisti laici dovrebbero mettere a riposo questa parola sugli scaffali del Museo degli Scismi, posto che le spetta di diritto, e trovare altre parole per gli atteggiamenti spirituali che desiderano definire.

Traduzione in italiano di Flavio Pelliconi

Articolo pubblicato su "Dharma, quaderni di buddhismo" n. 28



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